Lo scorso 17 giugno, alle 16.50 ora del Cairo, arriva inaspettata una notizia che ha stravolto le aperture di media, quotidiani e siti online di tutto il mondo. È morto Mohammed Morsi. Il primo presidente della storia d’Egitto democraticamente eletto nel giugno 2012 con il 51,7% del consensi contro il candidato del recente passato mubarakiano (Ahmed Shafiq, che raccolse il 48% dei voti).
Sono passati cinque anni da quando le prime pagine dei giornali di tutto il mondo moltiplicavano i volti dei ragazzi egiziani, tunisini, libici e in misura diversa e minore yemeniti, bahraini e siriani con le bandiere dei rispettivi paesi pitturate sulle facce radiose. Si ragionava di primavere arabe, risveglio mediorientale, rivoluzioni, i cronisti rilanciavano le parole d’ordine di una lingua fino a quel momento nota solo per le invocazioni coraniche, Ash-sha’b yurid isqat an-nizam, il popolo vuole la caduta del regime.
Gli eventi rivoluzionari del 2011 e del 2013 hanno posto l’Egitto dinanzi a una serie di sfide sia sul fronte interno sia su quello esterno, favorendo spesso una coincidenza dei due piani nell’agenda politica dei governi succedutisi in questi anni.
I gravi attacchi terroristici che hanno colpito venerdì scorso le città di Al-Arish e Shaykh Zuwaid, nel Sinai settentrionale, causando trentuno vittime fra i militari egiziani, danno il senso della condizione di ordinaria emergenza che la penisola dell’Egitto vive da almeno tre anni.
È andato tutto come ci si aspettava. Ora che è stata espletata la formalità del voto, finalmente il generale al-Sisi può essere chiamato presidente. Secondo i dati non ufficiali pubblicati dal giornale Al Ahram, l’ex ministro della Difesa avrebbe vinto con più del 95% dei voti: un risultato che certifica la sua popolarità, ma non indica la sua reale percentuale di consenso nel paese.
Il generale ‘Abd al-Fattah al-Sisi (classe 1954) è senza dubbio la massima autorità e decision maker in Egitto, indipendentemente dalla sua scontata elezione a presidente della repubblica di fine maggio. Questa posizione gli deriva ovviamente dal ruolo decisivo assunto, in quanto capo dell’esercito, nella estromissione del presidente eletto Mohamed Morsi il 3 luglio 2013, in seguito alle proteste popolari di massa del 30 giugno, che chiedevano all’esponente della Fratellanza musulmana, eletto solo un anno prima, di dimettersi anticipatamente.
Con l’avvio della roadmap, scattata dopo la deposizione dell’ex presidente Mohammed Morsi, e che dovrebbe chiudersi con le elezioni parlamentari in seguito alle presidenziali, previste il 26 e 27 maggio, i governi ad interim di Hazem Beblawi prima e Ibrahim Mahleb poi si sono presentati come esecutivi social-democratici. Non solo, la stampa ha definito «candidato di sinistra» l’unico rivale dell’ex generale Abdel Fattah Sisi, il nasserista Hamdin Sabbahi.
The US-Egyptian relations have been experiencing serious fluctuations ever since the outbreak of the Egyptian uprising in January 2011. Bilateral relations have even reached their lowest point with the decision of the Obama administration to suspend substantial military aid (1), military training, and other economic aid funds to the Egyptian government in October 2013, pending what US officials called a credible progress toward an inclusive, democratically elected civilian government through free and fair elections.
Sarà forse l’estate. O l’approssimarsi del Ramadan che per ogni giorno di digiuno garantisce un iftar: la festa serale in famiglia, nell’abbondanza di cibo e di gioiose lanterne colorate. Ma qualche piccolo segnale di miglioramento s’incomincia a vedere anche nella stagnante economia egiziana.
Con quello che a mio avviso si configura come un vero colpo di stato, nell’estate del 2013 l’esercito è intervenuto pesantemente a interrompere la scalata al potere della Fratellanza musulmana. Il presidente democraticamente eletto, Muhammad Morsi, è stato defenestrato; l’organizzazione dichiarata fuori legge; i capi politici del movimento arrestati e messi in condizione di non nuocere, molti addirittura condannati a morte.
La sentenza di condanna a morte in primo grado per 683 simpatizzanti della Fratellanza musulmana, emessa lunedì scorso dalla corte di giustizia di Minya, è l’ultimo episodio della repressione in atto contro i vincitori delle prime elezioni nella storia dell’Egitto post-Mubarak. Nello stesso giorno, al Cairo, è stato messo fuorilegge il Movimento 6 Aprile, che per primo era sceso in piazza contro l’ex rais nella rivoluzione del 2011.