La politica a livello nazionale segue un tempo che non coincide con quella delle istituzioni comunitarie. A Bruxelles e nelle altri sedi Ue si procede con agende prefissate molto tempo prima degli incontri e con dossier che “partono da lontano” con il rischio di essere spiazzati, se non superati, da quanto accade nei singoli paesi.
I dati parziali sul voto in Austria sembrano confermare le previsioni della vigilia: i popolari (ÖVP) tornano dopo 15 anni primo partito del paese, mentre dietro di loro socialdemocratici (SPÖ) ed estrema destra (FPÖ) si contendono il secondo posto. La grande coalizione tra popolari e socialdemocratici è affaticata da 11 anni di governo: appare dunque possibile un’alleanza tra popolari ed estrema destra. Con questo Focus, ISPI intende fare chiarezza su alcune importanti questioni. Come si è arrivati ai risultati di oggi?
La composizione della futura amministrazione Trump lascia intendere che il nuovo Presidente non abbia intenzione di moderare la proposta politica avanzata durante la campagna elettorale. Dall’ambiente alla sicurezza, dall’economia alla politica estera, le nomine di Trump sono state tanto radicali quanto poco ortodosse.
Poco meno di un anno fa, all'interno del mio contributo al Rapporto Ispi 2014, scrivevo della prevedibile ascesa nell’Unione Europea dei partiti nazional-populisti, confermata poi dalle elezioni di maggio, con la rilevante eccezione dell’Olanda, dell’Austria e, in parte, dell’Italia. Partiti euroscettici come l’Ukip britannico e il Front National francese sono risultati primi per consensi nei rispettivi paesi.
Le esportazioni di gas e petrolio rappresentano tradizionalmente una componente essenziale della bilancia commerciale della Federazione russa, secondo una tendenza che nell’ultimo decennio è andata rafforzandosi. Questa situazione rende l’economia russa estremamente dipendente dal settore energetico. Dipendenza che sta ulteriormente crescendo negli ultimi anni.
La globalizzazione contemporanea ha creato una crescente asimmetria tra il potere economico-finanziario che opera a livello globale e il potere politico che agisce ancora prevalentemente su scala nazionale. Ciò comporta un’erosione di sovranità che limita le opzioni di politica economica e sociale e i poteri di regolazione dei governanti nazionali e la loro capacità di realizzare i programmi e render conto dei risultati a cittadini elettori che si sentono sempre più impotenti e irrilevanti.
«La nottola di Minerva si alza in volo sul far della sera». Il detto di Hegel esprime una saggezza di tutti i tempi, ma sembra adattarsi particolarmente all’ondata di studi biografici che ha accompagnato il tramonto di una delle esistenze più straordinarie del nostro tempo.
Meglio un governo apolitico o un governo islamico? È la domanda che si è posta la Tunisia e alla quale ha dato una risposta: è meglio un governo apolitico. La risposta è arrivata insieme alla consapevolezza che con l'Islam non si governa.
Con una religione che tocca sia l’intera sfera privata sia quella pubblica dell'individuo all'interno di una comunità più allargata e globale, rimangono pochi margini di libertà per fare grande politica.
L’Algeria ha fama di essere uno stato a governo “forte”. Eppure da mesi è come se fosse senza presidente. Il presidente in carica Abdelaziz Bouteflika, già sofferente da anni per un male non meglio identificato allo stomaco, ha avuto in aprile un insulto ischemico, che non avrebbe però leso organi vitali. È stato a lungo in cura in ospedali francesi. La prima immagine durante la convalescenza fu trasmessa in giugno per mettere a tacere i dubbi sulle sue condizioni reali. In luglio ha fatto ritorno ad Algeri.
L’affermazione di Alexei Navalny alle elezioni del 12 settembre per il sindaco di Mosca ha segnato nonostante la sua sconfitta un significativo mutamento del clima politico prevalente fino a poco tempo fa in Russia. Considerati i risultati con il 27 % dei voti favorevoli rispetto al 3% previsto all’inizio della campagna elettorale si può concordare con l’affermazione di quanti, analisti occidentali e russi, hanno parlato di una sconfitta che di fatto equivale a una vittoria.
La vittoria – sebbene non ancora ufficializzata – del socialista Edi Rama sullo storico leader albanese conservatore Sali Berisha che da otto anni guidava l’Albania con la sua coalizione, arriva dopo una durissima campagna elettorale e un election day segnato anche da episodi di violenza: in una sparatoria avvenuta nei pressi del seggio elettorale di Laç, a 70 km da Tirana, è stato ucciso un sostenitore della coalizione di Rama, mentre sono rimasti feriti un candidato del Partito Democratico e un cugino dello stesso Berisha.
L’Ungheria, diversamente da altri paesi della regione, entrò in Europa il 1° maggio del 2004 senza forti emozioni né grandi contrasti interni. Prova, secondo alcuni osservatori dell’epoca, della raggiunta stabilità politico-sociale, frutto di una transizione dal comunismo alla democrazia e all’economia di mercato avvenuta senza grandi scosse, e quindi della maturità di un’opinione pubblica cosciente delle prospettive che l’adesione alle strutture e ai programmi europei avrebbe offerto al paese.