Nucleare: Hiroshima, 75 anni dopo
Il 6 agosto 1945 la città giapponese di Hiroshima veniva distrutta dalla prima bomba atomica a cui sarebbe seguita, tre giorni dopo quella su Nagasaki. Oggi, 75 anni dopo, la corsa al nucleare non si è arrestata.
Il 6 agosto 1945 la città giapponese di Hiroshima veniva distrutta dalla prima bomba atomica a cui sarebbe seguita, tre giorni dopo quella su Nagasaki. Oggi, 75 anni dopo, la corsa al nucleare non si è arrestata.
Non occorre essere diplomatici, esperti di questioni internazionali, frequentare think-tank, parlare l’inglese e leggere il mensile “Foreign Affairs” per sapere che le cose nel mondo non vanno un granché bene. Trump, Putin, Erdogan, la Libia, l’Iran, la UE e le democrazie impacciate; il coronavirus che in un attimo potrebbe passare dalla dimensione medica a quella politico-globale. E poi i mutamenti climatici che sono politica dal loro insorgere; la questione migranti, l’ingiusta distribuzione della ricchezza economica.
I timori sul crollo del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) sono vecchi quanto il trattato stesso e ben radicati. Tuttavia, dal 1970 il trattato è riuscito a limitare la proliferazione delle armi nucleari molto meglio del previsto: in media, un nuovo stato dotato di armi nucleari ogni dieci anni.
Gli anniversari del primo impiego dell’arma atomica a Hiroshima il 6 agosto del 1945 rischiano di cadere nell’oblio. I sopravvissuti alla tragedia (hibakusha) si contano ormai sulle dita delle mani e il clima internazionale attuale è meno propizio a siffatte commemorazioni. Quella che ebbe luogo nel 2015 per marcare il 70mo anniversario fu deludente e passò quasi inosservata.
L’arresto e la condanna a morte, in Iran, di diciassette persone accusate di attività di spionaggio per conto della CIA è solo l’ultimo di una serie di atti con i quali Teheran sembra voler rispondere alle crescenti pressioni a cui il paese è stato sottoposto nel corso degli ultimi mesi da parte dell’amministrazione Trump.
Lo scorso 7 luglio l’Iran ha annunciato di aver oltrepassato la soglia per l’arricchimento dell’uranio prevista dal JCPOA: dal limite del 3,67% stabilito dall’accordo, Teheran sarebbe passata a una soglia del 5%. Si tratta della seconda “violazione” del JCPOA da parte di Teheran dopo quella dello scorso 26 giugno, quando l’Iran ha annunciato di aver cominciato ad accumulare scorte di uranio arricchito in eccedenza rispetto al limite dei 300kg stabilito dall’accordo del 2015.
Di tutto ha bisogno la comunità internazionale fuorché di un ritorno a una corsa agli armamenti nucleari. La abbiamo già vissuta durante la guerra fredda al culmine della quale si calcola che si trovassero negli arsenali (principalmente di Stati Uniti e Unione Sovietica) ben 60.000 ordigni atomici. Arsenali da capogiro capaci di distruggere più volte il nostro pianeta! Oggi si calcola che siano intorno a 15.000. Una riduzione “drammatica” che però continua a non consentirci di dormire sonni tranquilli.
Ancor più che negli anni passati, sarà interessante vedere quanto siamo vicini alla “mezzanotte nucleare” secondo il Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago. Il loro “Doomsday Clock”, l’orologio del giorno del giudizio, è ormai un appuntamento tradizionale per le nostre paure.
Il Presidente Trump ha deciso di non certificare al Congresso americano il rispetto iraniano dell’accordo sul Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) siglato nel luglio del 2015 con gli altri paesi negoziatori dell’E3/EU+3 (Cina, Francia, Germania, Regno Unito, Russia, Stati Uniti e l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza).