A due anni dalla firma del Piano d’azione congiunto globale (Joint Comprehensive Plan of Action - Jcpoa) tra Iran e P5+1, è possibile affermare che l’accordo stia funzionando: l’Iran ha finora rispettato gli obblighi contratti con la firma del Jcpoa, mentre Onu, Ue e Usa hanno sospeso le sanzioni relative al programma nucleare.
Il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l’accordo sul nucleare raggiunto a Vienna tra Iran e P5+1 il 14 luglio 2015, ha aperto la strada all’allentamento delle sanzioni che, a partire dal 2006, erano progressivamente state imposte all’Iran per via del suo programma di sviluppo nucleare che la comunità internazionale reputava indirizzato a fini militari.
Il regime nordcoreano di Kim Jong–un sembra risoluto a proseguire lo sviluppo del proprio programma nucleare e missilistico. I primi mesi del 2017 non hanno fatto altro che confermarlo: lo scorso 12 febbraio Pyongyang ha infatti testato un nuovo missile balistico a medio raggio, sancendo una netta evoluzione qualitativa, oltre che quantitativa, del proprio arsenale.
Come ha detto di recente l’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, con la Corea del Nord “tutte le opzioni sono sul tavolo”. Frase già sentita in passato a riguardo di altre situazioni, dall’Iraq di Saddam all’Iran dei mullah. Il problema è quale strada scegliere per contenere un irrequieto e determinato Kim Jong un. La diplomatica ha definito la satrapia orientale come “irrazionale”. In realtà Pyongyang sa bene quello che fa. Con gli omicidi minaccia ogni forma di dissenso.
I primi mesi del 2017 hanno confermato la chiara tendenza emersa nell’anno precedente da parte del regime nordcoreano di voler perseguire in maniera decisa lo sviluppo del proprio programma nucleare e missilistico. Lo scorso 12 febbraio Pyongyang ha, infatti, testato un nuovo missile balistico a medio raggio, il Pukgukson-2, il quale è rimasto in volo per oltre 500 km prima di inabissarsi nel mare dell’Est.
Nei giorni scorsi ho letto critiche quasi rabbiose al mutamento di rotta impresso dall’Amministrazione Trump nei riguardi dell’Iran. Gli aggettivi usati in proposito parlano di “radicale” cambiamento promosso da Trump alla politica di riavvicinamento perseguita da Obama nel contesto di una “pax medio-orientale” affidata alle responsabilità dei paesi della regione; parlano di “aggressività” delle prese di posizione del nuovo Presidente nei riguardi dell’Iran e parlano addirittura di “bellicosità” pericolosa in quanto suscettibile di aprire il varco ad una g
Tra le numerose incognite che circondano l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ve n’è una che tiene con il fiato sospeso attori internazionali diversissimi fra loro: Cina, Russia, Unione europea, Iran. Proprio quest’ultimo paese infatti è stato oggetto di aspri attacchi da parte del neoeletto presidente, che più volte durante la campagna elettorale ha ribadito di voler “stracciare” l’accordo sul nucleare e negoziarne uno nuovo.
L’Aiea ha chiuso il rapporto sulle questioni ancora da chiarire del programma nucleare iraniano, quelle che riguardano l'applicazione nucleare in area militare. Il possibile chiarimento di questi aspetti, pur non essendo parte integrante dell’accordo sul Jcpoa, risulta essere uno snodo cruciale per passare dalla fase di adozione a quella di attuazione dell’accordo. Il rapporto dell’Aiea su questi aspetti verrà discusso dal Consiglio dei governatori dell’agenzia entro il 15 dicembre.
Esistono molti aggettivi che possono qualificare l’accordo raggiunto a Vienna lo scorso 14 luglio da Iran e P5+1. “Storico” è uno di questi, se si pensa a quanto sia ancora accesa, perlomeno nella retorica di certi ambienti politici, l’ostilità tra Iran e Stati Uniti, innescata trentasette anni fa da una rivoluzione che ha fatto dell’ostilità al “grande Satana” una delle proprie pietre fondanti. Si tratta poi di un accordo che ha rappresentato anche e soprattutto una vittoria della diplomazia, come ha ricordato il Segretario di stato Usa John Kerry. Decenni di ostilità, minacce e tensioni che non sfociano in guerra aperta ma vengono affrontati attorno a un tavolo, anche al prezzo di lunghe ed estenuanti trattative. Un’intesa, ancora, che è nata come una scommessa dell’amministrazione Obama e che è ora divenuta promessa di un nuovo inizio: quel “nuovo inizio” nelle relazioni con l’Iran invocato dal presidente statunitense nel lontano 2009 e che a Teheran è stato accolto con cauto pragmatismo. Ma, più di tutto, si tratta di un accordo da proteggere: dalle opposizioni interne ai paesi firmatari, certo, ma anche da quegli attori regionali che non hanno mai fatto segreto della propria ostilità nei confronti di un’intesa che per forza di cose prelude a una reintegrazione di Teheran nel consesso delle nazioni e a una ridefinizione degli equilibri nell’area mediorientale.
Prima il terrorismo stragista che ha insanguinato Nord Africa Medio Oriente ed Europa, poi la questione Grexit hanno monopolizzato l’attenzione dei media internazionali, relegando in secondo piano la trattativa sul nucleare iraniano in cui sono impegnati, oltre a Teheran, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la Germania con l’Unione Europea.