Lo “spegnimento” di tutte le attività federali non essenziali, firmato da Obama lo scorso 1° ottobre, rappresenta la terza grave crisi politica attraversata dagli Stati Uniti nel 2013.
Con ogni probabilità, nemmeno il 2013 sarà, per Barack Obama, l’anno dell’auspicato “change”. Piuttosto, il braccio di ferro con il Congresso a maggioranza repubblicana intorno al tema del tetto del dedito federale – che dal primo ottobre ha portato allo “shutdown” di una lunga lista di servizi e alla messa in aspettativa di quasi un milione di dipendenti pubblici – sembra rappresentare l’ennesimo momento di difficoltà di un presidente fino a oggi incapace di soddisfare le attese (forse eccessive) sollevate all’epoca della sua elezione.
Negli ultimi anni, non è un mistero come la politica economica della Cina abbia puntato sulle esportazioni secondo un modello di sviluppo che metteva in secondo piano il consumo interno. Si è trattato di una scelta largamente condivisa nel Partito Comunista dato che uno dei maggiori detrattori di questa scelta, l’ex “principino rosso” Bo Xilai, è caduto ormai in disgrazia.
L’aver cantato «Bomb, bomb Iran» durante la campagna elettorale del 2008 sulle note della celebre canzone Barbara Ann, resa famosa dai Beach Boys, non fu certamente il motivo per cui John McCain perse le elezioni presidenziali contro Barack Obama. Tuttavia, a distanza di cinque anni dall’invasione dell’Iraq, la parodia musicale nemmeno aiutò il Repubblicano a guadagnare consenso agli occhi di un elettorato in larga parte riluttante ad utilizzare nuovamente la forza militare in Medio Oriente.
Alla luce dei recenti avvenimenti sviluppatisi nella cornice diplomatica della settimana inaugurale della sessantottesima sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha visto una ripresa dell'interazione negoziale tra Iran e Stati Uniti, a pochi mesi dalla elezione a presidente della Repubblica Islamica di Hassan Rohani, è sorto un intenso dibattito sulla verosimiglianza dell'apertura politica esercitata da Rohani stesso e dal suo staff, in primis il ministro degli esteri Yavad Zarif.
A una settimana dall'intervento presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dei presidenti di Iran e Stati Uniti, l’ottimismo, seppur cauto, nei confronti di una possibile distensione nelle relazioni tra i due paesi non ha precedenti.
Le ultime aperture del presidente iraniano Hassan Rohani nei confronti di Washington, in particolare lo storico colloquio telefonico con il presidente statunitense Barack Obama, hanno suscitato, negli ultimi giorni, l'attenzione dei media internazionali, provocando inoltre diverse reazioni sia all'interno degli schieramenti politici della Repubblica Islamica sia tra la società civile iraniana.
Le parole e i toni del neo-presidente Hassan Rouhani suggeriscono che l’Iran voglia intraprendere un percorso di distensione politica, sia a livello regionale che internazionale. Il presidente della repubblica, già capo negoziatore nucleare nei mandati del riformista Khatami e padre del primo patto di sicurezza firmato con i sauditi nel 1998, ha auspicato “eccellenti relazioni con i vicini”.
In queste settimane di colpi di scena e dichiarazioni contraddittorie il mondo ha seguito le vicende siriane con un’attenzione mai avuta prima in questi due lunghi anni di conflitto civile. L’attacco americano, che sembrava ormai imminente, si è improvvisamente trasformato in un inedito accordo a tre – regime siriano, Stati Uniti e Russia con la supervisione delle Nazioni Unite – riguardante la distruzione dell’arsenale chimico di Bashar al-Assad entro la metà del 2014.
Barack Obama aspetta l’esito delle elezioni tedesche sperando di veder emergere a Berlino un governo capace di affiancare gli Stati Uniti nell’accelerare la crescita dei paesi industrializzati durante i tre anni che rimangono alla fine del suo mandato.
Gli Stati Uniti di Barack Obama sono una democrazia; difficile definire esattamente cosa sia la Russia di Putin. L’America sta rimettendo in sesto la sua economia, i russi no. E comunque gli Stati Uniti restano il primo paese al mondo nelle startup, il primo nella produzione hi-tech, la prima industria manifatturiera e la prima agricoltura; la Russia produce solo energia, esporta armi (mai quanto gli Usa) e ha un immenso arsenale nucleare.
L'incontro è stato organizzato nell'ambito degli approfondimenti "Focus Siria" dell'ISPI.
L'evento si è tenuto presso la sede dell'ISPI (Palazzo Clerici - Via Clerici 5 - Milano).
Il panel da sinistra: Alessandro Colombo, Ugo Tramballi, Aldo Ferrari.