Il segretario di Stato americano in visita in Israele e Cisgiordania, mentre sale anche la tensione in Iran.
Il segretario di Stato americano in visita in Israele e Cisgiordania, mentre sale anche la tensione in Iran.
Un raid israeliano in Cisgiordania miete dieci vittime palestinesi. L’Autorità palestinese interrompe le operazioni di coordinamento con Israele, che nella notte ha colpito Gaza dopo un lancio di razzi.
Dovrebbe occuparsi di molto altro Slow News, dedicato agli affari internazionali, non solo a Israele. C'è l'aggressione senza fine all'Ucraina, la repressione in Iran, la Corea del Nord, la crisi cinese, l'irriducibile trumpismo negli Usa. Insomma, you name it, dicono gli americani: non c'è che da scegliere.
Ha avuto scarsa rilevanza mediatica una votazione avvenuta il mese scorso all'Assemblea generale dell'Onu. E' comprensibile: di qualsiasi conflitto ci si occupi al Palazzo di Vetro, raramente ciò che viene deciso ha la forza di determinare le vicende sul campo.
Si chiamava Aryeh Shechopek, aveva 16 anni, un bel viso pulito. I genitori lo avevano portato a Gerusalemme dal Canada, dove era nato. La gente racconta che Aryeh era sempre pronto ad aiutare gli altri. L'altra mattina attendeva l'autobus per andare a scuola, quando a pochi metri da lui è esplosa una bomba piazzata da un palestinese non ancora individuato.
Torna l’incubo attentati a Gerusalemme. Due esplosioni in sequenza provocano un morto e decine di feriti, allerta rossa in tutto il paese.
Nella cupa atmosfera dell'Assemblea generale, dove la comunità mondiale non riesce a fermare “la tempesta perfetta” di guerra, inflazione, clima e fame - come l'ha definita Antonio Guterres, il segretario generale – un indizio di speranza illumina il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Viene dal più inaspettato dei luoghi e dal più lungo dei conflitti: Israele-Palestina.
Tiene la tregua fra Israele e il gruppo militante della Jihad Islamica che ha portato al cessate il fuoco nella Striscia di Gaza dopo tre giorni di violenze e 44 palestinesi morti.
Dopo tre giorni di bombardamenti e lanci di razzi, nella Striscia di Gaza sembra essere finalmente tornata la pace. Domenica sera, Israele ha infatti raggiunto una tregua con il gruppo armato palestinese Jihad Islamica grazie a una mediazione dell’Egitto.
Negli ultimi giorni, le forze israeliane hanno sgomberato più volte la Moschea al-Aqsa di Gerusalemme Est dai fedeli palestinesi, e non sono mancati gli scontri. Tutto questo accade durante il Ramadan, mese di festa per l'Islam che quest'anno coincide sia con la Pasqua cristiana che con quella ebraica. Per capire cosa sta succedendo, Francesco Rocchetti, Segretario Generale dell'ISPI, e Silvia Boccardi dialogano con Davide Lerner, giornalista.
“Dall'accampamento dei Filistei uscì un campione chiamato Golia di Gat. Era alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di 5mila shekel. Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle [...] Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e con la pietra Lo colpì”. [Antico Testamento, Samuele 1,17]
“Cosa vogliamo fare a Gaza?”, si chiedeva il mese scorso Yair Lapid, il ministro degli Esteri, leader centrista e futuro premier fra un paio d'anni: se esisterà ancora lo strano governo di destra, centro-destra, centro, centro-sinistra e sinistra, palestinesi d'Israele compresi. Dovrebbe essere normale che un leader politico israeliano cerchi una soluzione a un problema così evidente come l'instabilità nella striscia. Normale anche che la questione si allarghi a tutti i palestinesi: a cosa fare anche dei territori occupati in Cisgiordania.