Cinquantacinque milioni di iraniani sono chiamati oggi alle urne per il rinnovo del parlamento e dell’Assemblea degli esperti, istituzioni investite rispettivamente del potere legislativo e del potere di supervisione dell’operato della Guida suprema, Ali Khamenei. Elezioni che avvengono in un momento particolare della storia della Repubblica Islamica. L’accordo sul programma nucleare concluso nel luglio scorso, che ha posto fine a più di un decennio di confronto tra Iran e comunità internazionale, sembra avere aperto un nuovo periodo, caratterizzato meno dal confronto ideologico e più dal pragmatismo. Alla “riabilitazione” internazionale si sommano le aspettative sul piano interno circa l’operato futuro del presidente Hassan Rouhani, al quale buona parte della popolazione chiede ora di mantenere le proprie promesse elettorali a favore di un allentamento della pressione sulla società.
È un Iran in cui si aprono prospettive di cambiamento, quello che si presenta oggi al voto. Ma quali sono i limiti entro cui può avvenire il cambiamento, in un sistema istituzionale estremamente complesso come quello della Repubblica Islamica? Quanto le pressioni dal basso possono trovare corrispondenza nell’azione ai vertici del potere politico? Quali incognite pesano sul futuro dell’accordo, quali gli attori con cui un Iran perennemente in cerca di se stesso si troverà a doversi confrontare nel prossimo futuro?