Domenica 20 novembre il Partito repubblicano francese vedrà impegnato il proprio elettorato nella scelta del leader che guiderà il centro-destra alle elezioni presidenziali del maggio 2017. La Francia che si prepara ad eleggere il futuro presidente è un paese che sta ridefinendo il suo assetto partitico, passato dallo storico bipartitismo all’affermazione della terza forza lepenista. La Francia è anche un paese che ha subito negli ultimi anni diverse crisi legate agli attacchi terroristici che hanno fatto tornare la questione sicurezza al centro dell’agenda politica.
«Speriamo che questo segni la fine del cosiddetto ‘Islam politico’», è il commento sugli eventi degli ultimi giorni in Egitto di un amico che vive al Cairo da molti anni e che, pur essendo un profondo conoscitore dell’Islam, ne ha sempre guardato con diffidenza le ambizioni politiche. Sono in molti a pensarlo, e ad auspicarlo.
Non sono soltanto i partiti politici a battersi per quella che l’ex-presidente Pervez Musharraf aveva definito «la madre di tutte le elezioni». La competizione elettorale che segna il passaggio da un governo democratico all’altro vede in campo difatti molti più giocatori di quanti non ne segnalino le liste elettorali. Giocatori più o meno occulti, impegnati a manovrare i risultati di una competizione che, secondo la maggioranza dei cittadini pakistani, sarà la più truccata della travagliata storia nazionale.
Nel 2008, quando le elezioni parlamentari hanno riportato al potere il Pakistan People’s Party (PPP) dopo nove anni di regime militare e Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto, è stato eletto presidente, si è sperato che la svolta democratica potesse facilitare il ripristino dell’ordine e della sicurezza in un paese lacerato da violenze religiose e tensioni etniche, ridimensionare gli elementi religiosi estremisti e ricomporre le fratture politiche interne.
"Il coraggio dell'Europa": questo lo slogan con cui il premier sociademocratico croato Zoran Milanović invitava i propri concittadini a partecipare alle prime elezioni europee mai tenutesi in Croazia – l'ingresso del paese nell'UE è previsto per il 1° luglio. Tuttavia, il risultato elettorale locale e il clima politico continentale offrono tutt'altro panorama: coraggio ed entusiasmo sembrano lasciare il posto a una certa sfiducia e diffidenza reciproca.
I paesi scandinavi sono noti per presenza di forti atteggiamenti euro-scettici a livello di opinione pubblica. La Norvegia ha respinto, attraverso due referendum (1974 e 1994), la possibilità di aderire all'Unione Europea. Ricorrendo al medesimo metodo decisionale, Danimarca (2000) e Svezia (2003) hanno optato per non aderire alla moneta unica, pur essendo membri dell'Unione Europea.
In a country long known for its tradition of tolerance, the Dutch Party for Freedom (PVV) is an outlier. Vocally Islamophobic and unapologetically Euro-skeptic, the party has risen to global prominence by embodying the rise of Europe’s growing far-right fringe. At the forefront of the PVV is Geert Wilders – a Dutch parliamentarian infamous for his uncensored criticism of Islam.
L’Ungheria, diversamente da altri paesi della regione, entrò in Europa il 1° maggio del 2004 senza forti emozioni né grandi contrasti interni. Prova, secondo alcuni osservatori dell’epoca, della raggiunta stabilità politico-sociale, frutto di una transizione dal comunismo alla democrazia e all’economia di mercato avvenuta senza grandi scosse, e quindi della maturità di un’opinione pubblica cosciente delle prospettive che l’adesione alle strutture e ai programmi europei avrebbe offerto al paese.
Il Partito britannico dell’indipendenza (UK Independence Party – Ukip) venne creato all’inizio degli anni Novanta (1993), in seguito alla dissoluzione della Lega Anti Federalista, nata nel 1991 per contrastare le proposte contenute nel Trattato di Maastricht.
Il futuro di Alternative für Deutschland, il nuovo partito tedesco anti-euro che sta nascendo in queste settimane, può essere immaginato pensando a una forbice le cui due lame sono per il momento abbastanza distanti. Da una parte c’è l’elettorato potenziale, che secondo alcuni sondaggi potrebbe superare il 20 per cento del totale. Dall’altra c’è la quota effettiva di cittadini disposti a spostare il loro voto su una nuova formazione politica come questa: non più dell’1-2 per cento, secondo molti osservatori.
La reazione dei greci di fronte ai risultati delle elezioni italiane è stata univoca: è stato dato un sonoro schiaffo alla politica di austerità della cancelliera Merkel. Il ragionamento che è stato fatto nei maggiori quotidiani era che la sconsiderata politica applicata dall’Unione Europea sta distruggendo non solo il tessuto economico dei paesi più indebitati, ma pone in serio rischio anche le istituzioni democratiche: i nazisti a infangare il Parlamento di Atene, l’ingovernabilità in Italia.
Conviene essere subito chiari: né in Spagna né in Portogallo si sta verificando una ondata di populismo o euroscetticismo, come invece accade in altri paesi membri dell’Unione Europea (Ue).