Ieri Donald Trump ha tenuto al Mayflower Hotel di Washington il suo primo discorso sulla politica estera che adotterebbe se venisse eletto Presidente degli Stati Uniti. Quali i punti principali del suo discorso?
La politica estera non entusiasma la competizione elettorale americana, né nella partita interna allo schieramento democratico né in quella del partito repubblicano. Ancor meno può entusiasmare nelle battute iniziali delle primarie, quelle di febbraio nelle quali si fanno strada i possibili candidati, in attesa del Super Tuesday.
L'ultimo dibattito tra i candidati repubblicani per le elezioni presidenziali del 2016 ha preso in esame le scelte di politica estera degli USA nel caso di vittoria del partito. Se la questione principale riguarda il contenimento dell'avanzata dell'IS, quali sono le possibili soluzioni? Dalla "no fly zone" proposta da Jeb Bush a una collaborazione più stretta con Mosca suggerita da Trump, le idee sembrano abbondare, ma allo stesso tempo sottolineano la mancanza di una linea univoca per un tassello - la politica estera - in assoluto fondamentale per gli Stati Uniti.
Come si spiegano gli errori e le incongruenze della politica mediorientale di Obama? Derivano davvero dalla mancanza di una strategia o conseguono, anche, a scelte sottaciute e costrizioni che a lungo si è sperato di poter gestire o quantomeno eludere?
Le primavere arabe del 2011 hanno colto l’amministrazione americana impreparata. L’eredità raccolta dalla presidenza Bush nella politica mediorientale gravitava intorno a spazi geopolitici diversi: il cuore e imbuto della penisola arabica rappresentati dall’Iraq, la periferia est del Medio Oriente “allargato” dove la priorità è stata la stabilizzazione dell’Afghanistan e sullo sfondo l’annosa questione palestinese.
Il Medio Oriente che Obama visiterà alla fine di marzo andando per la prima volta da presidente in Israele, in Palestina e in Giordania, è diverso da quello da lui affrontato con il suo programmatico discorso sull’Islam e sul conflitto palestinese all’Università del Cairo il 4 giugno 2009. La mano che aveva teso al mondo islamico non è stata accettata mentre l’anti americanismo è cresciuto specie in Egitto dove Obama aveva sostenuto la rivolta contro il regime di Mubarak.
Il primo mandato di Barack Obama, come hanno osservato molti commentatori, non si è distinto per un chiaro impegno in Medio Oriente. Da un lato, l’amministrazione americana negli ultimi anni si è concentrata sul disimpegno – in parte per compensare l’eccesso di zelo e attivismo nella regione dell’amministrazione Bush.
Con l’insediamento della nuova amministrazione Obama si chiude (almeno formalmente) la lunga fase d’incertezza che ha seguito la riconferma del presidente uscente nelle elezioni dello scorso novembre. Ciò, a maggior ragione, nel delicato settore della politica estera, che, negli ultimi mesi, ha assistito all’evidente “smarcamento” di Washington da tutte le principali vicende. Rimane invece aperta alla speculazione quella che sarà la postura internazionale di Washington nei quattro anni che si prospettano.