A Cuba non è mai come appare: poiché l’Assemblea Nazionale elegge il Consiglio di Stato e il Consiglio di Stato elegge il nuovo presidente che di cognome fa Díaz-Canel, tutti dicono che finisce l’era Castro. Ma non è mica vero: ad oggi, tutto cambia sull’isola perché nulla cambi. Di presidenti che non si chiamavano Castro, Cuba ne ebbe due. Il primo l’aveva messo in sella Fidel dopo la Rivoluzione. Dopo pochi mesi lo tirò giù dal cavallo; dovette fuggire in esilio.
La più grande isola dei Caraibi, Cuba, fu una pedina fondamentale dell’espansione spagnola nel continente americano. Portaerei in mezzo al “nuovo Mediterraneo”, base logistica, mercato degli schiavi, sede delle istituzioni politiche, culturali e religiose della colonia. Una centralità persa parallelamente al declino del colonialismo spagnolo, finito proprio a Cuba con la guerra tra Spagna e Stati Uniti del 1898. Quel conflitto segnò il definitivo passaggio dei Caraibi sotto l’egida degli Stati Uniti.
Poteva andare male, ma sta andando bene. È questa la frase che più spesso si sente fra Wall Street e Washington. Se sotto il profilo politico, il primo anno di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti d’America è stato quantomeno controverso, sotto quello economico è stato invece positivo. Ma occorre precisare che i meriti non sono di Trump. Il trend rialzista di Wall Street è consolidato da tempo e, riforma fiscale a parte, mancano ancora molte delle promesse fatte in campagna elettorale.
A un anno dall’insediamento, polemiche più o meno accese continuano a circondare la figura e la politica di Donald Trump, che, con un indice di gradimento intorno al 37% (fonte Gallup), si attesta, in questa fase del mandato, ben sotto la media dei presidenti eletti dopo il 1938.
Commemorando lo scorso novembre il risultato positivo dell’asta di concessione dei blocchi petroliferi sottomarini ultraprofondi del pré-sal, il presidente Michel Temer ha twittato che “è stato un grande successo” e che “il Brasile è tornato in sella”. Tuttavia, al netto della retorica da social network, se si prendono i dati del bilancio pubblico brasiliano appare evidente che le cose non stiano proprio andando benissimo.
Domenica notte si terrà il secondo dibattito tra Hillary Clinton e Donald Trump. I due candidati si incontreranno all’Università di St. Louis in Missouri alle 3.00 ora italiana. Clinton arriva a questo appuntamento forte di una vittoria, anche se modesta, al primo incontro e di un crescente vantaggio nei sondaggi.
Si terrà questa sera alle 21.00 (le 3.00 del mattino in Italia) il primo confronto televisivo tra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump e Hillary Clinton. Novanta minuti senza interruzioni pubblicitarie, domande a bruciapelo, un minuto e mezzo per le risposte. Una vera e propria performance in cui a vincere con ogni probabilità non sarà chi dimostrerà di avere il programma migliore, bensì chi sarà in grado di esporre le proprie idee con efficacia, reggendo alla pressione dei tempi serrati e agli attacchi incalzanti dell’avversario.
Quando manca poco meno di una settimana all’Election Day che porterà duecento milioni di americani alle urne, sulla campagna si abbatte l’ennesimo colpo di scena. Il capo dell’FBI, James Comey, ha comunicato al Congresso di aver appreso dell’esistenza di altre e-mail di Hillary Clinton che sembrano pertinenti all’indagine già condotta (e chiusa) nei mesi scorsi.
Domenica notte si terrà il secondo dibattito tra Hillary Clinton e Donald Trump. I due candidati si incontreranno all’Università di St. Louis in Missouri alle 3.00 ora italiana. Clinton arriva a questo appuntamento forte di una vittoria, anche se modesta, al primo incontro e di un crescente vantaggio nei sondaggi. Trump, invece, sa che deve recuperare consenso ma non è ancora chiaro se ricorrerà a un atteggiamento più aggressivo, come minacciato all’indomani del primo faccia a faccia, o a un approccio più calmo e “presidenziale” seguendo il modello di Mike Pence, che ha battuto il democratico Tim Kaine nel dibattito tra i candidati vice-presidente. (...)