2017 is a crucial year for Iran. In January, while the "Joint Comprehensive Plan of Action" (JCPOA) entered the second year of implementation, in Washington the Trump Administration took office, with the promise to “renegotiate a disastrous deal”. In May, in Tehran, the incumbent president Hassan Rouhani won re-election by a wide margin.
Ciò che si poteva soltanto immaginare qualche mese fa è avvenuto questa notte con l’elezione di Donald Trump a 45° presidente degli Stati Uniti. Una vittoria per certi versi sorprendente a conclusione di una campagna elettorale caratterizzata da veleni e tensioni che hanno finito per avvantaggiare il candidato repubblicano, nonostante il netto sostegno politico e mediatico dell’establishment nei confronti di Hillary Clinton.
L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca può rappresentare un forte momento di rottura con le politiche economiche precedentemente condotte dalle amministrazioni degli ultimi vent’anni, nonché un potenziale elemento di instabilità per i mercati internazionali. Abbiamo raggiunto Francesco Daveri, professore ordinario di Politica economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza), per un suo commento sugli avvenimenti in corso.
Si terrà questa sera alle 21.00 (le 3.00 del mattino in Italia) il primo confronto televisivo tra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump e Hillary Clinton. Novanta minuti senza interruzioni pubblicitarie, domande a bruciapelo, un minuto e mezzo per le risposte. Una vera e propria performance in cui a vincere con ogni probabilità non sarà chi dimostrerà di avere il programma migliore, bensì chi sarà in grado di esporre le proprie idee con efficacia, reggendo alla pressione dei tempi serrati e agli attacchi incalzanti dell’avversario.
Domenica 20 novembre il Partito repubblicano francese vedrà impegnato il proprio elettorato nella scelta del leader che guiderà il centro-destra alle elezioni presidenziali del maggio 2017. La Francia che si prepara ad eleggere il futuro presidente è un paese che sta ridefinendo il suo assetto partitico, passato dallo storico bipartitismo all’affermazione della terza forza lepenista. La Francia è anche un paese che ha subito negli ultimi anni diverse crisi legate agli attacchi terroristici che hanno fatto tornare la questione sicurezza al centro dell’agenda politica.
Le riforme mancate del presidente
Durante la sua presidenza, François Hollande non è riuscito a realizzare molte delle riforme promesse in campagna elettorale. Fra queste, le principali sono:
Extracomunitari al voto nelle elezioni locali
La Francia è una repubblica semi-presidenziale in cui il potere esecutivo è condiviso dal presidente della Repubblica e dal primo ministro; il primo è eletto direttamente dal popolo e nomina il secondo sulla base del risultato elettorale. Il presidente viene eletto a suffragio universale diretto a doppio turno. Per essere eletti al primo turno serve la maggioranza assoluta dei voti; se nessuno dei candidati la ottiene, vanno al ballottaggio i due che al primo turno hanno ricevuto il maggior numero di consensi.
Alle elezioni del 23 aprile si presenteranno undici candidati. Fra questi, i principali sono:
1. Jean-Luc Mélenchon, La France insoumise (estrema sinistra)
2. Marine Le Pen, Front national (estrema destra)
3. François Fillon, Les Républicains (centro-destra)
4. Emmanuel Macron, En Marche! (centro-sinistra, benché si definisca come “né di destra né di sinistra”)
5. Benoît Hamon, Parti socialiste (centro-sinistra)
Le elezioni presidenziali di martedì 9 maggio in Corea del Sud hanno decretato la vittoria del leader del Partito democratico, Moon Jae-in, che per i prossimi 5 anni è chiamato a governare un paese scosso negli ultimi nove mesi dal più grande scandalo politico mai avvenuto nella Repubblica asiatica.
Da martedì 9 maggio la Corea del Sud ha di nuovo un presidente. Alla Casa Blu è arrivato il democratico–progressista Moon Jae–in, ex avvocato per i diritti umani e tra i leader dei movimenti di opposizione al regime autoritario del generale Park Chung–hee negli anni ‘70.
Non ci sono state sorprese. Le diciannovesime elezioni presidenziali sudcoreane hanno avuto l’esito previsto ormai da molte settimane, riconsegnando l’amministrazione del paese nelle mani di un esponente di un progressismo che sembrava essere stato spazzato via dalla veemenza di due consecutivi governi ultraconservatori. La drammaticità della situazione in cui Seul era piombata nell’ultimo periodo della presidenza Park, d’altro canto, imponeva uno scatto d’orgoglio, e l’occasione è stata prontamente raccolta dai cittadini sudcoreani.
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