Premessa storico-culturale essenziale. Quando parliamo del rapporto tra Brasile e calcio parliamo di qualcosa di molto diverso dal nostro intendimento europeo. Non parliamo solo di uno svago collettivo, un divertimento nazional-popolare, una passione della gente. Parliamo di una vera e propria espressione culturale e politica, di un elemento storicamente accertato di “nation building”. Mai dimenticarsi che il Brasile è stato molto prima potenza sportiva, e solo dopo potenza economica.
Nei prossimi trenta giorni tutti gli occhi del mondo saranno puntati sul Brasile: l’appuntamento dei Mondiali di calcio offre anche un pretesto per discutere del ruolo del Paese sudamericano non solo come potenza sportiva ma anche come geopolitica e geoeconomica, a livello regionale e globale.
Abstract
Lula ha saputo usare risorse e limiti del suo paese per farne un protagonista della scena internazionale. La rainbow diplomacy.
Un Bric molto peculiare. Il rallentamento economico e il profilo di Dilma sembrano mettere in questione il rango appena conquistato
Paolo Magri, Direttore e Vice Presidente esecutivo dell'ISPI.
* L’articolo è stato pubblicato su Limes, Brasiliana, Il Brasile nel mondo, 6/14.
Nei primi tre anni della presidenza di Dilma Rousseff il tasso di crescita del Pil brasiliano si è praticamente dimezzato (al 2% circa) rispetto alla media dei due mandati del presidente Lula (2003-2010). Anche l’anno in corso non è cominciato sotto i migliori auspici. Il prodotto nel primo trimestre è progredito appena dello 0,2% rispetto al periodo precedente (0,8% su base annua), sostenuto esclusivamente dalla spesa per consumi del governo e dall’accumulo di scorte.
Tre foto per sintetizzare una vita. La prima è del novembre 1970: Dilma Rousseff ha 22 anni, è reduce da 22 giorni di tortura e siede nell’Auditoria Militar di Rio de Janeiro durante un interrogatorio. Il volto è stanco, ma la ragazza, in jeans e t-shirt, non guarda né i giudici né in macchina. Quando l’immagine è riemersa, nel 2011, ha fatto il giro del mondo: Dilma, accusata di partecipare alla lotta armata contro la dittatura, è ferma e severa. I militari che l’interrogano si coprono il volto con la mano.
Per un programma sociale, dieci anni sono un compleanno importante. Non tanti piani riescono a perpetrarsi per tre successivi governi. Ancor meno, possono vantare di aver elargito 50 miliardi di dollari, togliendo dalla miseria quaranta milioni di cittadini. Quando, il 20 ottobre 2003, l’allora presidente Ignacio Lula da Silva decise di attribuire l’equivalente di 50 dollari alle persone che ne guadagnavano meno di 30 al mese, molti definirono la misura “inefficace” o, quanto meno, populista.
Un milione di persone in piazza, proteste e violenze. Ciò che sta accadendo in Brasile è piuttosto inusuale, per un paese pacifico e poco incline agli scontri tra classi sociali. A maggior ragione durante un torneo calcistico, la Confederation Cup. Il calcio, si sa, in Brasile può ipnotizzare un intero paese. Ma allora perché sono esplose queste tensioni? Che sta succedendo? E poi proprio ora, dopo la lunga galoppata dell’economia brasiliana che ha beneficiato decine di milioni di abitanti.
Che cosa accade in Brasile? La domanda, declinata in varie lingue, accenti e sfumature, si ripete sulle prime pagine delle principali testate giornalistiche internazionali. Come pure negli studi di accademici e ricercatori, oltre che ovviamente negli uffici del Palazzo governativo di Planalto. La rivolta sociale, cominciata il 13 giugno a San Paolo per protestare contro l’aumento del biglietto dei bus ed estesasi inesorabilmente per il “gigante latinoamericano”, ha sorpreso l’opinione pubblica.
«La Turchia è qui!», è uno degli slogan che è risuonato nella protesta brasiliana. E non c’è dubbio che c’è l’esempio di un’onda lunga di proteste che tra indignados, Occupy Wall Street, Primavere arabe, studenti cileni va ormai avanti da almeno tre anni, superando ormai per durata altre famose date “rivoluzionarie” del passato. Evidenti sono poi certe affinità.
«I’m not going to the World Cup». Con queste parole Carla Dauden, giovane film maker brasiliana, apre lapidariamente la descrizione socioeconomica del suo paese, che si appresta a ospitare l’anno prossimo i Mondiali di calcio e le Olimpiadi nel 2016.