Sbagliano entrambi, sia Madrid sia Barcellona. Non a pari responsabilità, ma con motivazioni diverse che sarà importante analizzare per comprendere meglio l’impasse in cui oggi si trova la Spagna intorno alla questione dell’indipendenza catalana.
La Spagna ha appena tenuto la seconda tornata elettorale in sei mesi, a seguito del voto di dicembre. Quanto emerso dalle urne è l’effetto di un’instabilità politica dovuta tanto all’incapacità di formare un governo solido in quasi metà anno quanto al più recente Brexit. È probabile infatti che proprio quest'ultimo fattore possa aver influenzato i risultati di queste elezioni.
Il 20 dicembre alle otto e un quarto della sera la voce correva per tutti i comitati elettorali di Madrid: «Qui si mette male». Da pochi minuti si erano chiusi i seggi, gli exit poll e poi le proiezioni parlavano chiaro: dopo decenni di bipolarismo perfetto, la Spagna si apprestava per la prima volta ad andare a letto senza sapere da chi sarebbe stata governata nei quattro anni a venire. I commenti notturni dei leader politici rendevano piuttosto semplice la profezia: l'accordo sarebbe stato difficilissimo.
La Spagna continua ad addentrarsi in una fase politica incerta e del tutto inedita per le sue tradizioni democratiche. E nemmeno le nuove elezioni, che si terranno il 26 di giugno – salvo imprevedibili e ormai davvero improbabili accordi dell’ultima ora – potrebbero servire a ridare stabilità e a formare un governo. Re Felipe ha dovuto prendere atto che «non esiste alcun candidato che possa essere proposto alla guida del governo» e che per la Spagna è inevitabile «tornare a votare entro i prossimi due mesi».
Unità nella diversità. È il motto adottato dal 2000 per l’Unione europea che oggi però suona come un ossimoro inconciliabile. E lo sarà ancora di più nel 2016 e negli anni a venire perché inesorabilmente sbagliato. Si basa infatti su un concetto statico di diversità: il dato cumulato di secoli di storie diverse – e spesso altamente conflittuali – che avrebbero dovuto trovare nella costruzione europea il momento ultimo di sintesi unitaria.
L’aggravarsi della situazione economica spagnola nel 2010 rese necessario anticipare di quattro mesi le elezioni, che si tennero così il 20 novembre del 2011 e diedero la vittoria al Partito Popolare (PP), il quale si assicurò la maggioranza assoluta nella decima legislatura segnando, al contempo, la sconfitta del Partito Socialista Spagnolo (PSOE).
Niente sarà come prima in Spagna dopo le elezioni di domenica 20 dicembre. Il bipartitismo, inteso come l’ineluttabile alternanza al potere fra il Partito popolare (Pp) e quello socialista (Psoe), celebrerà la sua fine terminando un prolungato ciclo politico durato più di 35 anni. L’irruzione di Podemos e di Ciudadanos (C’s) nello scenario politico nazionale e le alte aspettative che si sono create intorno a queste nuove formazioni hanno fatto sì che oggi quattro partiti potrebbero vincere le elezioni, ma nessuno ha la possibilità di governare da solo.
È un caso di grande clamore mediatico quello che in Spagna interessa non solo il premier Mariano Rajoy, ma i livelli più alti dell'attuale dirigenza del Partido Popular (PP), la forza politica al governo del paese dal 2011.
La crisi dell’euro ha fatto precipitare l’Europa nella “politica dell’ansia”. Il disagio sociale è sempre più acuto. Più della metà delle famiglie (Scandinavia e Germania escluse) dichiara che non ce la farebbe a sostenere una spesa inaspettata di mille euro nei prossimi dodici mesi, più di un terzo si definisce “povero”. Come stupirsi se elettori sempre più insicuri puniscono i leader in carica, si rifugiano nell’astensionismo, si lasciano sedurre dalle sirene populiste?
Conviene essere subito chiari: né in Spagna né in Portogallo si sta verificando una ondata di populismo o euroscetticismo, come invece accade in altri paesi membri dell’Unione Europea (Ue).
La crisi finanziaria internazionale del 2008 non ha colpito la Spagna con la stessa forza con cui è esplosa negli altri paesi, grazie a quelle che allora erano considerate oculate politiche di supervisione bancaria che hanno impedito alle banche spagnole di operare nel mercato dei mutui subprime e che le hanno obbligate a mettere al riparo i loro bilanci. Da allora però le difficoltà dei mercati finanziari internazionali e lo scoppio della crisi del debito dell’area euro hanno reso manifeste le debolezze della Spagna dovute a squilibri interni ed esterni accumulatisi negli anni.