Il mondo islamico, che spesso tende a essere presentato come un universo monolitico, nasconde in realtà una cultura estremamente variegata ed eterogenea. L'esempio lampante è rappresentato dalla storica divisione interna tra sunniti e sciiti, le cui origini risalgono a ben 14 secoli fa, ai tempi della successione al profeta Muhammad.
Un filo rosso che ha percorso secoli, fino ad assumere, esplosivo significato nel 1979, con la rivolta islamica sciita di Khomenini in Iran. Tuttavia, più che come scontro teologico-dottrinale, fin dall'inizio tale "scisma" si è configurato soprattutto come una lotta per l'egemonia politica ed economica. Uno scontro di potere che strumentalizza il settarismo religioso e di cui le comunità sunnite e sciite sono più vittime che protagoniste. Una questione delicata e complessa che riguarda il mondo musulmano e rappresenta uno dei nodi cruciali dell'attuale scenario internazionale..
Abstract
La riconquista di Mosul può essere vista su due diversi piani di lettura. Da un lato, la vittoria sul Da‘esh rischia di esacerbare le tensioni politiche, etniche e settarie tra i suoi numerosi padri; dall’altro i sunniti iracheni, liberati dall’arcigno patrigno jihadista, sono comunque orfani di una effettiva guida politica.
Nel corso dell’ultimo lustro, nella regione del Mediterraneo le speranze accese dalla cosiddetta Primavera araba hanno lasciato spazio a scenari marcati da numerosi elementi di preoccupazione e di allarme.
Le bombe esplose vicino al santuario di Sayeda Zeinab, uccidono 86 persone, due gli obiettivi: colpire uno dei simboli religiosi più importanti per la minoranza sciita, aggravando lo scontro settario e far fallire i colloqui in corso a Ginevra. Tale strategia rafforza la narrativa jihadista, che punta a presentare il sedicente Stato Islamico come il difensore dei sunniti in Siria. Un obiettivo che prescinde ormai dal solo teatro siriano e include anche gli altri stati del Medio Oriente dove è presente una minoranza o una maggioranza sciita.
Vi sono due opposte narrative per spiegare il conflitto fra sunniti e sciiti che divampa da tempo nel Medio Oriente; entrambe sono molto popolari ma ambedue rischiano di portarci fuori-strada, se percepite come dicotomiche e esclusive.
L’uccisione di Sheikh Nimr Bakr al–Nimr, religioso oppositore del regime degli al–Saud e portavoce delle istanze della minoranza sciita saudita, ha riacceso la conflittualità mai sopita tra Riad e Teheran. È possibile interpretare il gesto saudita come un chiaro messaggio di rifiuto nei confronti della reintegrazione dell’Iran nella comunità internazionale, conseguenza dell’accordo sul nucleare firmato a luglio.
Lo Yemen recente vive il suo giorno più buio. Il 20 marzo gli attacchi kamikaze coordinati contro le moschee Badr e Hashoush di Sana’a, frequentate soprattutto da sciiti zaiditi, hanno causato oltre 140 morti e 350 feriti. La strage, rivendicata da un’esordiente, e tutta da verificare, cellula yemenita dello Stato Islamico, potrebbe segnare un punto di non ritorno per la repubblica delle Penisola arabica.
La recrudescenza della violenza settaria che ha investito nelle ultime settimane l’Iraq ha visto Riyadh lanciare una serie di dure accuse contro l’esecutivo al-Maliki, da sempre tutt’altro che ben visto dalla casa reale saudita.
«Il nemico del mio nemico è mio amico» è l'abusata espressione che campeggia in questi giorni nelle cronache di politica estera per spiegare quella che appare come un'imminente collaborazione tra Stati Uniti e Iran sulla crisi irachena.
Gli Stati Uniti hanno perso l’Iraq? Il basso profilo scelto dall’amministrazione Obama di fronte all’avanzata delle forze dell’Isis in direzione di Baghdad lascia supporre, se non proprio disinteresse per il destino del governo di Nuri al-Maliki, quanto meno la difficoltà di individuare una strategia che sia, al contempo, efficace, politicamente sostenibile, e che riesca a togliere Washington dall’imbarazzo di scelte che risultano comunque sg
La situazione in Iraq è complessa e fluida, poiché è in atto un tentativo di rovesciamento degli equilibri politici, locali e regionali, che il surge americano aveva solo smorzato e che è ripreso a pieno regime a partire dal 2012.
Tra le varie elezioni che si sono svolte in Medio Oriente e in Nord Africa negli ultimi mesi, quelle irachene del 30 aprile scorso sono forse state quelle più sottovalutate: sia per la scarsa eco mediatica, sia per ciò che concerne le loro possibili conseguenze.