Almeno 25 morti e 50 feriti: sono le vittime dell’attentato di ieri all’ospedale militare Daoud Khan di Kabul. L’attacco, rivendicato dal ramo locale dello Stato Islamico (ISIS-K), è uno dei più elaborati da quando i talebani hanno preso il potere, con due attacchi suicidi che hanno preceduto l’arrivo dei combattenti ISIS e uno scontro a fuoco con le forze speciali talebane.
Nel nuovo governo ad interim dell’Afghanistan nessuna donna e alcuni terroristi ai vertici di comando. L’annuncio del nuovo esecutivo rinnova il dilemma: dialogare o no con i Talebani?
Il ritorno dei talebani determina una serie di contraccolpi geopolitici di medio e lungo raggio. Dalla Cina alla Russia all’India, chi vince e chi perde nel nuovo status quo.
Due giorni dopo la presa di Kabul e la conquista del potere in Afghanistan i talebani cercano di rassicurare il mondo sulle intenzioni del futuro governo. Ma non tutti sono pronti a credergli.
Kabul cade e il presidente Ghani fugge all’estero. Dopo 20 anni di guerra l’Afghanistan torna in mano ai talebani e Biden viene accusato di una ‘disfatta epocale’.
Il 3 agosto un'ondata di esplosioni ha colpito la "Green zone" di Kabul, area fortificata e un tempo considerata sicura; obiettivo dell’attacco è stato il ministro della Difesa in carica, Bismillah Khan Mohammadi – non presente al momento dell’azione poi rivendicata dai talebani contro l’uomo che recentemente ha avviato il processo di riarmo delle milizie tribali e ha preso la guida della resistenza nazionale anti-talebana: la sua uccisione sarebbe stata fortemente simbolica, con effetti micidiali sul morale delle truppe impegnate a difesa delle capitali pr
La cerimonia con cui il 12 settembre a Doha sono stati inaugurati i dialoghi intra-afghani segna l’inizio di un processo necessario ma accidentato e senza alcuna garanzia di successo.
Cominciato venerdì 31 luglio in occasione della festività islamica dell’Eid al-Adha, l’ultimo cessate il fuoco tra i Talebani e il governo di Kabul apre una finestra d’opportunità inedita sull’inizio del negoziato intra-afghano, ma mostra anche i limiti dell’accordo tra i Talebani e gli Stati Uniti firmato a Doha lo scorso febbraio e i tanti ostacoli lungo la strada verso la pace.
A un mese dal primo incontro preliminare con l’inviato statunitense per il processo di pace Zalmay Khalilzad, dal 25 al 27 febbraio e poi ancora sabato 2 marzo 2019 i talebani hanno riaperto le porte del loro ufficio politico di Doha, la capitale del Qatar. Il quinto dell’ultima serie di incontri avviati dagli Stati Uniti e dai talebani nell’estate del 2018, ma che hanno escluso il governo afghano.
Sono trascorsi quasi diciotto anni da quando Zalmay Khalilzad – attuale negoziatore da parte americana a Doha con i talebani – veniva nominato da G.W. Bush Special Assistant del presidente per l’Asia meridionale e Vicino Oriente. Il ruolo ricoperto oggi e gli obiettivi politici che persegue sembrano trasfigurati se paragonati all’ambiziosa agenda politica neo-conservatrice, sostenuta attivamente da Khalilzad stesso, perseguita nell’intervento americano in Afghanistan nel 2001.
Nel 2014, quando si sono tenute le ultime elezioni presidenziali in Afghanistan, i Talebani hanno per la prima volta nella loro storia tentato di influenzarne il risultato, invece di tenere un atteggiamento di risoluta opposizione.
Nei primi sei mesi del 2018, in Afghanistan si sono registrate due tendenze rilevanti, in contraddizione tra loro. La prima è un lieve aumento delle vittime civili, testimoniato dall’ultimo rapporto di Unama, la missione delle Nazioni Unite a Kabul. La seconda è l’apertura di una finestra di dialogo diplomatico che potrebbe ridurre progressivamente la conflittualità e condurre a un negoziato vero e proprio.
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