Le recenti dichiarazioni del presidente iraniano Rohani e la conseguente storica telefonata con la sua controparte statunitense, Barak Obama, possono aver quantomeno sconcertato il più fedele alleato di Teheran, Hezbollah. Intendiamoci, non basta uno scambio di battute al telefono per risolvere trenta e passa anni di frizioni diventate rancori e tensioni che, più volte, hanno rischiato di collassare in uno scontro armato.
A una settimana dall'intervento presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dei presidenti di Iran e Stati Uniti, l’ottimismo, seppur cauto, nei confronti di una possibile distensione nelle relazioni tra i due paesi non ha precedenti.
Mentre venti di guerra soffiano da Washington verso Damasco sempre più minacciosi, dallo “stream” di Twitter un sorprendente messaggio di conciliazione viaggia da Teheran per giungere, anche se un po’ indirettamente, a Tel Aviv. Ieri sera il nuovo presidente iraniano Rouhani ha infatti twittato un augurio speciale per gli ebrei di tutto il mondo in occasione della festività dello Rosh Hashanah, il capodanno ebraico.
L'elezione del presidente in Iran segue le regole di un matrimonio combinato. Lo sposo (il presidente) deve piacere anzitutto ai genitori della sposa (Khamenei), ai parenti (i pasdaran), agli amici (il clero) e al quartiere (i fedelissimi del regime).
Difficile farsi un’idea di cosa stia veramente succedendo in questa strana campagna elettorale iraniana, probabilmente la più grigia nella storia della Repubblica islamica dell’Iran. Sembrano ormai lontanissimi i tempi in cui i candidati alla presidenza giocavano (quasi) armi alla pari per convincere gli elettori, dato che l’Iran è stato a lungo uno dei pochissimi paesi del Medio Oriente in cui il regime si limitava a interferire nelle selezioni dei candidati, ma non manipolava i voti popolari.
Alla vigilia delle elezioni presidenziali in Iran, sono in molti a interrogarsi circa l’impatto della tornata elettorale sulla questione che, più di ogni altra, incarna il rapporto conflittuale tra Teheran e la comunità internazionale: il dossier nucleare. Dopo i timidi passi in avanti compiuti la scorsa primavera negli incontri di Almaty e Istanbul, le trattative hanno imboccato negli ultimi mesi una fase di stallo che riflette la scarsa chiarezza sulle intenzioni politiche dalle parti coinvolte.
Ritiro dalla Siria dei "combattenti iraniani", oltre che delle milizie sciite libanesi di Hezbollah: è quanto hanno chiesto il 22 maggio scorso da Amman i ministri degli Esteri del gruppo “Amici della Siria”. È la prima volta che i paesi occidentali accusano Teheran di un intervento diretto nel conflitto, anche se più volte si è parlato della presenza di “consiglieri” militari della Repubblica islamica al fianco delle truppe del presidente Bashar al Assad.
Se il palcoscenico internazionale fosse un parco di divertimenti, l’immagine che meglio si presterebbe a rappresentare le relazioni tra Iran e Pakistan sarebbe quella di un ottovolante: alti e bassi, in continuo mutamento. L’Iran che nell’agosto 1947 fu il primo paese a riconoscere ufficialmente il Dominion del Pakistan all’indomani della sua nascita era un Iran profondamente diverso da quello odierno.
Nel 2009 fu la parola speranza a declinare le tappe del viaggio di Barack Obama in Medio Oriente, il primo come presidente degli Stati Uniti. La sua elezione aveva suscitato grande curiosità nel mondo islamico e sull’onda di quell’entusiasmo la Casa Bianca si prefiggeva di trasformare il temporaneo reset emotivo in qualcosa di più duraturo. «Il mio lavoro con i paesi musulmani è spiegare che gli americani non sono loro nemici» dichiarò il neo-presidente in un’intervista ad Al Arabiya pochi giorni dopo la sua partenza.
A due anni dall’inizio delle rivolte nel piccolo arcipelago del Golfo Persico, il Bahrain vive una crisi politico-sociale ancora ben lontana da una rapida soluzione. Sebbene siano stati compiuti alcuni tentativi di dialogo con le opposizioni, non pare scorgersi all’orizzonte un serio processo di riconciliazione nazionale. Così sullo sfondo della crisi interna s’inserisce anche la difficile questione riguardante gli interessi politico-strategici che coinvolgono il mondo arabo-sunnita e l’Iran sciita.