Nonostante i tentativi di mediazione da parte dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, l’ex segretario generale Kofi Annan, la situazione in Siria non accenna a migliorare e la crisi interna si acuisce di giorno in giorno. Il piano proposto da Annan, che dovrebbe essere supportato anche da attori esterni come la Cina e la Russia, prevede sei punti negoziali dai quali far partire i colloqui per una soluzione di quella che ormai rischia di essere una vera e propria guerra civile.
In meno di un anno la Siria da partner regionale di rilievo si è trasformata nella principale spina nel fianco della Turchia. Allo scoppio, a marzo del 2011, delle prime proteste contro il regime di Damasco il governo del primo ministro Erdoğan ha cercato di esercitare pressioni sul presidente siriano Bashar al-Assad perché avviasse un processo di riforme politiche interne.
In Siria la normalizzazione è ancora lontana. Se i fattori interni sembrano determinanti, appare indubbio che questo paese sta divenendo viepiù fondamentale per gli assetti geopolitici dell’intera regione. La crisi economica a cui la Siria ha dovuto far fronte (anche a causa della sfavorevole congiuntura internazionale) ha costretto il governo a dover mediare tra i vari centri che si contendevano il potere, portando a una frattura interna tra i notabili sunniti (solitamente favorevoli al governo) e la minoranza sciita alauita che guida il paese.
Che Ankara si stesse occupando (anche) di Africa non è una novità. La politica estera, definita da alcuni come “neo-ottomana”, che il premier Recep Tayyip Erdoğan e il ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu praticano, prevede che per ricollocare la Turchia negli equilibri mondiali si debba passare anche dall’Africa.