Il premier ungherese dichiara lo stato d’emergenza per la guerra in Ucraina. E sull’embargo al petrolio rinnova il suo veto, tenendo in scacco l’intera Unione.
Il premier ungherese dichiara lo stato d’emergenza per la guerra in Ucraina. E sull’embargo al petrolio rinnova il suo veto, tenendo in scacco l’intera Unione.
Domenica 3 aprile si terranno le elezioni in Ungheria e Serbia. Un voto particolarmente interessante che mette alla prova due leader europei controversi e considerati come sempre più autoritari: il premier ungherese Viktor Orban e il presidente serbo Aleksandar Vucic. Mentre l’Ungheria è un paese membro dell’Unione Europea, la Serbia è ancora solo candidato. I due regimi però si somigliano sia per longevità che per la progressiva erosione dello stato di diritto.
Convocare un vertice per la democrazia è un progetto ambizioso, questo sì, ma allo stesso tempo è un progetto al quale nessuno – a parte dittatori e autocrati – potrebbe opporsi. Così è stato, quando nel luglio 2019, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in piena campagna elettorale, ha annunciato la volontà di convocare un “summit mondiale per la democrazia”, con il doppio obiettivo di rendere centrali a livello globale i principi e le istituzioni democratiche e, allo stesso tempo, di rilanciare la leadership statunitense dopo l’era Trump.
Péter Márki-Zay sarà il candidato dell’opposizione ungherese alle prossime elezioni parlamentari, previste nell’aprile del 2022. Conservatore e cattolico, Márki-Zay è uscito vincitore dal secondo turno delle primarie dell’opposizione unita, superando Klára Dobrev, data per favorita. Oltre 600mila ungheresi si sono mobilitati in occasione di queste primarie, affollando i seggi in entrambi i turni. Un vero e proprio successo se consideriamo che si tratta di circa un quarto del totale dei votanti di tutti i partiti d’opposizione alle politiche del 2018.
Svelati i contorni di una mega inchiesta internazionale: proverebbe che diversi paesi – tra cui l’Ungheria - hanno spiato per anni giornalisti e attivisti per i diritti umani, hackerando i loro cellulari grazie a uno spyware israeliano.
Il prossimo passo del premier ungherese Viktor Orban sarà su un’assolata spiaggia lungo il Danubio nascosta in una romantica insenatura, tra alberi in fiore, prati e pigre case galleggianti. È qui, a Ferencváros, Sud di Budapest, che nascerà il primo campus universitario cinese in Europa, quello della Fudan University.
Nel giorno in cui in Ungheria entra in vigore la legge che vieta la “propaganda LGBT”, dal parlamento europeo si invoca il congelamento dei fondi del recovery destinati a Budapest.
Il premier ungherese Orbán nella bufera per una legge che limita l'accesso dei giovani alle informazioni LGBTQ+. E il premier olandese Rutte vuole l’Ungheria fuori dalla Ue.
La partita in corso tra l’Unione europea e l’Ungheria di Viktor Orban sullo stato di diritto è uno scontro tattico, un gioco di equilibrismi diplomatici che spesso somiglia a una guerra di posizione. L’ultima mossa si è giocata sullo scacchiere del diritto comunitario e, apparentemente, ha segnato un punto a favore della Ue.
Dimissioni in massa dei giornalisti di Index.hu, una delle ultime voci indipendenti nell’Ungheria di Viktor Orban. L’opposizione protesta e scuote l’Europa: qui muore la libertà di stampa.
Nelle prossime ore il parlamento ungherese tornerà a esercitare le proprie funzioni. Cessano i pieni poteri di cui il primo ministro Viktor Orbán si è avvalso dalla fine di marzo, governando per decreto senza fissare limiti di tempo. Stava allo stesso Orbán scegliere quando chiudere questa finestra. Nelle scorse settimane aveva annunciato di farlo entro il 20 giugno, e così dovrebbe essere.
In un’Europa in pieno stato d’emergenza a causa della pandemia da coronavirus, i poteri governativi si sono ampliati ovunque. La situazione richiede decisioni rapide, immediate. Del resto è in corso una sfida contro il tempo per salvare vite umane e contenere il più possibile il collasso economico, che è inevitabile.