
Hillary Clinton ha raggiunto ufficialmente il numero magico di 2383 delegati necessari per la candidatura automatica per il Partito democratico. La sfida per la Casa Bianca vedrà ufficialmente contrapposti Hillary Clinton per i democratici e Donald Trump per i repubblicani. La nomination raggiunta dal'ex First Lady sancisce una condizione che ormai sembrava delineata ormai da alcuni mesi, nonostante i tentativi dell'inseguitore Bernie Sanders di porsi come l'unico candidato in grado di sconfiggere il tycoon alle votazioni di novembre. Dopo la vittoria nelle ultime primarie a Puerto Rico l’appoggio di alcuni superdelegati (esponenti del Partito democratico che, diversamente dai delegati comuni, sono liberi di votare in sede di Convention per il candidato che preferiscono) si è dimostrato decisivo e ha consentito all’ex First Lady di raggiungere il “magic number” per assicurarsi la candidatura per il partito dell’Asino ancor prima dell’esito delle votazioni previste in California, New Mexico, Nord e Sud Dakota, Montana e New Jersey. Sarà, dunque, la prima donna a correre per la Casa Bianca nella storia degli Stati Uniti e la Convention democratica di Philadelphia prevista a luglio dovrà solo “incoronare” la Clinton come la candidata ufficiale per il Partito Democratico. L’unicità del momento è stata sottolineata dall’ex Segretario di Stato che ha dichiarato: “E’ un momento storico”.
Il suo rivale, Bernie Sanders, che ha più volte ribadito di non aver alcuna intenzione di ritirarsi dalla corsa elettorale, dichiara di voler attendere il risultato delle votazioni dell’ultimo Supermartedì prima di decidere di abbandonare ufficialmente la campagna. Un’eventuale vittoria in alcuni degli Stati chiamati al voto, California in primis, che da sola mette a disposizione 546 delegati, di certo non cambierebbe la situazione che vede ormai Hillary Clinton vincitrice, ma potrebbe indurre il Senatore del Vermont ad avanzare alcune pretese in sede di Convention sia per la definizione del programma elettorale sia per la nomina del Vicepresidente. L’appoggio di Sanders sarà necessario per conquistare quelle componenti dell’elettorato che lo hanno sostenuto in massa (soprattutto i giovani). Anche i consiglieri della Clinton preferiscono attendere l’esito delle ultime primarie, probabilmente cercando un’ulteriore legittimazione della vittoria attraverso consensi elettorali e non attraverso l’appoggio dei vertici del partito. Sanders aveva ripetutamente accusato la Clinton di essere la candidata dell’establishment e di poter contare sul sostegno dei superdelegati anche quando i risultati elettorali la penalizzavano e una vittoria nell’ultimo round di primarie sarebbe una risposta importante e decisiva contro queste accuse.
Così come per Trump è arrivato in settimana il sostegno del leader repubblicano più politicamente influente, ovvero lo speaker della Camera dei Rappresentanti Paul Ryan, è previsto a breve l’annuncio del sostegno di Barack Obama alla campagna presidenziale di Hillary. Obama, che fin’ora è rimasto nelle retrovie della campagna elettorale democratica, eccezion fatta per alcune frecciate a Donald Trump, nei prossimi giorni dovrebbe formalizzare il proprio endorsement verso Hillary e molto probabilmente svolgerà un ruolo molto più attivo a favore della Clinton nei prossimi mesi. Richiamando all’unità il suo partito, lacerato da diversi mesi dalla competizione Clinton-Sanders, secondo la stampa statunitense Obama avrebbe suggerito a quest’ultimo di ritirarsi dopo il raggiungimento del “magic number” da parte di Hillary. Il sostegno di Obama si dimostrerebbe estremamente utile sia per cercare di attirare l’elettorato indipendente che fin’ora ha sostenuto Sanders, sia per la conquista di alcuni Stati quali Michigan, Minnesota e Wisconsin, nei quali Hillary è stata nettamente superata dal Senatore del Vermont e nei quali Obama vinse nel 2012. Un’eventuale sconfitta del’ex First Lady a novembre e l’ascesa di Trump alla Casa Bianca rappresenterebbero un fallimento per l’eredità presidenziale di Obama e la sfida Clinton-Trump sarebbe un’occasione per affrontare il tycoon, che nelle ultime presidenziali del 2012 accusò erroneamente il Presidente di non essere nato negli Stati Uniti, bensì in Kenya, e perciò di non poter essere legalmente eletto alla Casa Bianca. Obama si gioca, dunque, il suo lascito storico in queste presidenziali e se da un lato la sua popolarità (intorno al 50% dei consensi) può essere un’utile arma a favore di Hillary, dall’altro occorre considerare che dopo otto anni di presidenza democratica subentra una fisiologica “stanchezza” dell’establishment e dell’elettorato, desiderosi entrambi di rinnovamento, riducendo le possibilità di un'ulteriore conferma alla Casa Bianca di un candidato che esprime una sostanziale continuità con la politica del Presidente uscente. Per avere una visione più chiara della situazione che si prospetterà in autunno sarà necessario attendere le due Convention, democratica e repubblicana, entrambe previste a luglio per conoscere ufficialmente il contenuto dei programmi elettorali e i candidati alla carica di Vicepresidente.