
Le difficoltà riscontrate da Hillary Clinton nel corso della sua campagna presidenziale affondano le proprie radici nell’intero sistema politico-elettorale americano, tendenzialmente chiuso alla partecipazione femminile. Questa constatazione offre un’occasione di riflessione in primo luogo sulle ragioni alla base dello scarso appeal della Clinton verso l’elettorato (anche verso quello femminile), in seguito, sul ruolo che l’appoggio delle donne può ricoprire nella corsa alla Casa Bianca.
Una classifica dell’Inter Parliamentary Union dell’aprile 2016 sulle quote di donne presenti nelle assemblee legislative colloca gli Stati Uniti solo al 97esimo posto su 191 paesi analizzati: con solo il 19,4% di donne alla Camera dei Rappresentanti e il 20% al Senato, gli Stati Uniti si dimostrano più chiusi alle donne di quanto lo siano altri Stati molto più arretrati nei diritti civili quali la Cina (71esimo posto), l’Iraq (58), l’Etiopia (19) e l’Ecuador (9). Naturalmente questo singolo dato non risulta sufficiente per comprendere l’arretratezza degli Stati Uniti nella promozione delle donne in politica, ma altri numeri possono venirci in aiuto. Un breve sguardo alla lista degli attuali governatori americani conferma questa situazione: Nikki Haley (South Carolina), Maggie Hassan (New Hampshire), Susana Martinez (New Mexico), Mary Fallin (Oklahoma), Kate Brown (Oregon), Gina Raimondo (Rhode Island) e Muriel Bowser (District of Columbia) sono le uniche donne a ricoprire questa carica. Anche la storia politica del popolo americano non è propriamente ispirata a un ideale di uguaglianza e di apertura al genere femminile della cosa pubblica: nel 1869 in Wyoming è stato concesso il voto alle donne, ma solo per ragioni contingenti (era necessario un certo quorum per consentire al Wyoming l’ingresso negli Stati Uniti), mentre il suffragio comprensivo alle donne è stato esteso solo nel 1920, grazie al XIX emendamento della Costituzione. Per quanto riguarda l’elettorato passivo, la prima donna a entrare al Congresso è stata Jeannette Rankin nel 1916, mentre per il Senato Rebecca Latimer Felton nel 1922. Tutti dati che portano a comprendere le difficoltà incontrate dalla Clinton nell’abbattere una serie di barriere storiche e culturali nel proprio paese, spesso descritto come la patria dei diritti, ma che, in realtà, storicamente si è dimostrato in grado di offrire poche possibilità alle donne per prendere parte alla politica. Oltre a ciò, tuttavia, quali sono le ragioni per cui la candidata democratica incontra così tante difficoltà?
Delineata la cornice culturale degli Stati Uniti e passando a un’analisi più storicamente contingente, ciò che emerge da queste primarie è l’assenza di un candidato in grado di attrarre su di sé grandi consensi dell’elettorato femminile. Hillary Clinton, avvocato, ex First Lady, ex Segretario di Stato, da sempre in prima linea per la difesa dei diritti delle donne nel mondo, prima donna a candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, dovrebbe essere il centro gravitazionale delle votanti, eppure non sembra che le cose stiano andando in questa direzione. Nei due stati nei quali si sono tenute le primissime votazioni per le primarie democratiche, ovvero New Hampshire e Iowa, Bernie Sanders ha ottenuto abbastanza sorprendentemente molti più voti femminili di quanti ne abbia ricevuti la Clinton. Anche se Hillary riesce ad ottenere complessivamente buoni consensi nel mondo femminile, la percezione è che non riesca comunque ad infiammarne gli animi. Alcuni la accusano del fatto che la sua carriera sia stata facilitata dalla posizione del marito, anche se Hillary aveva una solida carriera alle spalle prima ancora di diventare First Lady d’America. Altri, invece, ritengono che le donne non siano necessariamente spinte a sostenere un candidato solo per il fatto di condividere lo stesso sesso: un candidato dovrebbe attirare consensi in base al programma elettorale, alle sue idee, alla sua condotta. Dunque, un’“arretratezza sistemica” verso le donne, unita ad uno traballante appeal della Clinton potrebbero essere alcune delle cause del suo mancato consenso di massa.
Un’altra spiegazione di questa condizione può essere che, come accaduto nel New Hampshire o in Iowa, il messaggio di Sanders, molto più rivoluzionario e innovativo di quello della Clinton, sembra aver avuto maggior presa sul giovane elettorato e su molte donne sotto i 40 anni, il cui obiettivo principale non è solo quello di vedere un inquilino donna alla Casa Bianca, ma anche di risolvere alcune problematiche decisive per il loro futuro, quali l’istruzione pubblica gratuita, un servizio sanitario con minori spese, ecc: tutte promesse fatte dal Senatore Sanders. Ulteriore elemento da tenere in considerazione è il fatto che l’intera campagna elettorale americana è stata dominata non dalla notizia che Hillary fosse la prima donna a candidarsi per la Casa Bianca, ma dalle dichiarazioni, alcune anche sessiste di Donald Trump, non proprio una bandiera per rappresentare gli interessi femminili. Il tycoon ha attaccato la Clinton dopo le primarie dello Stato di New York accusandola di sfruttare a fini elettorali la carta “delle donne”. L’ex Segretario di Stato ha poi risposto alle critiche, affermando che “se lottare per la salute delle donne, per il congedo parentale e l’uguaglianza dei salari significa ‘giocare la carta delle donne’, bene, consideratemi pure inclusa”. A dire il vero anche Trump sembra deviare dal sessismo che lo ha caratterizzato nei primi mesi di campagna elettorale. Prendendo le difese dell’elettorato femminile, egli ha dichiarato più frequentemente di rispettare le donne e, più recentemente, ha nuovamente attaccato i Clinton, accusando sia Bill di essere “il peggior autore di abuso sulle donne nella storia della politica”, sia Hillary di essere complice in ciò, in quanto sua moglie. Alcuni ritengono che l’unico modo per vincere le elezioni da parte della Clinton paradossalmente non sia quello di trarre vantaggio dai propri meriti e dalla propria esperienza politica. Il risultato finale dipenderà, invece, dal modo in cui saprà gestire le umiliazioni inflitte dalle taglienti accuse di Trump.
Finora le battaglie dei due principali candidati per la corsa alla Casa Bianca si sono svolte all’interno dello stesso partito, ma ben presto si tratterà di attirare il numero più ampio possibile di consensi entro novembre: questa sarà l’unica via per conquistare la presidenza. Nelle vittorie di Obama del 2008 e del 2012, l’appoggio femminile si è dimostrato determinante (96% dei voti delle donne afroamericane e circa il 60% delle donne ispaniche in entrambe le votazioni) e la decisività delle donne si dimostrerà un fattore non di poco conto anche nel 2016, soprattutto tenendo conto anche di alcune evoluzioni demografiche: le donne costituiscono più della metà degli aventi diritto al voto e quelle nubili oggi costituiscono da sole circa un quarto dell’intero elettorato. Il loro sostegno sarà fondamentale per la vittoria di qualsiasi candidato. È necessario quindi, per entrambi i contendenti alla presidenza, espandere il più possibile la propria base elettorale; un compito apparentemente molto più facile per la Clinton che per Trump, anche se in diverse occasioni l’ex First Lady non ha approfittato di questo suo “punto di forza”. Il magnate gode, infatti, di un pessimo consenso presso l’elettorato femminile ed è comprensibile che per una votante sia molto più interessante la prospettiva di vedere una qualificata leader al comando della propria nazione, piuttosto che un controverso businessman dai modi assai rozzi. L’articolo “Crossing the line: How Donald Trump Behavied with Women in Private” pubblicato sul New York Times il 14 maggio scorso dipinge il magnate come un personaggio prepotente verso la componente femminile, con un comportamento spesso inappropriato. L’attendibilità di questo lungo articolo che intende riassumere decenni di abusi non è chiara; il tycoon si è difeso ribadendo di avere un ottimo rapporto con le donne, ma la sua immagine sembra essere stata colpita a fondo e sarà necessaria un’accurata ricostruzione della stessa per sperare di migliorare la situazione.
Oltre alla difficile corsa della Clinton e alla pessima immagine di Trump, vi sono certamente anche altri fattori da tenere in considerazione: il mondo delle donne negli Stati Uniti è estremamente vario e composito esattamente come la popolazione dell’intero paese; sono presenti divisioni di generazione, livello di istruzione, reddito, appartenenza etnica, condizione famigliare, credo religioso, ecc. Alcune donne sosterranno Trump e non voteranno la Clinton, ma in vista delle elezioni di novembre deve essere fatto ancora tanto da parte del tycoon per sperare di ricevere consensi femminili. Da un lato, quindi, la via per la Casa Bianca passa per l’appoggio dell'ampio elettorato femminile; dall’altra occorre constatare che il Grand Old Party ha vinto in diverse occasioni dal 1980, pur non potendo contare su un largo consenso femminile. In altre parole, da più di trent’anni la storia vede i candidati democratici ricevere un maggiore sostegno dalle donne (soprattutto afroamericane ed ispaniche), rispetto a quello dei repubblicani. Il GOP, tuttavia, è riuscito a migliorare il proprio potenziale di attrazione di voti verso l’elettorato femminile bianco, creando una buona base di consensi dalla quale partire. Nel 2012, dopo aver perso le elezioni presidenziali per la seconda volta consecutiva, il Comitato Nazionale del Partito repubblicano ha adottato un grande progetto chiamato “Growth and Opportunity Project”, ricco di raccomandazioni sul ruolo chiave esercitato dall’elettorato femminile per aggiudicarsi la vittoria.
Nonostante la chiusura sistemica, la componente femminile e la sua decisività sono riconosciute da entrambe le parti e l’appoggio delle donne è una condicio sine qua non per l’approdo alla Casa Bianca; questa è una consapevolezza che deve ispirare ciascun candidato.
Fabio Rondini